Breve storia della Protezione Civile

La storia della protezione civile in Italia è strettamente legata alle calamità che hanno colpito il nostro paese. Terremoti e alluvioni hanno segnato la storia e l’evoluzione del nostro Paese contribuendo a creare quella coscienza di protezione civile, di tutela della vita e dell’ambiente che ha portato alla nascita di un Sistema di Protezione Civile in grado di reagire e agire in caso di emergenza e di mettere in campo azioni di previsione e prevenzione. Nella fase immediatamente successiva ad una grande catastrofe, le innovazioni, le decisioni e le scelte sono favorite dal clima di forte emozione che dopo ogni disastro coinvolge l’opinione pubblica e le istituzioni. Il concetto di protezione civile – come espressione di solidarietà, spirito di collaborazione e senso civico – ha radici lontane. La storia racconta di organizzazioni solidaristiche e di volontariato impegnate a portare aiuto in occasione di grandi emergenze già con gli ordini religiosi medievali e con le prime strutture laiche, come le Misericordie nate a Firenze tra il ‘200 e il ‘300 o i Vigili del Fuoco presenti da secoli nelle valli alpine.

L’Italia unita : I primi interventi normativi

Prima dell’Unità d’Italia l’organizzazione dei soccorsi era differenziata stato per stato. In occasione delle grandi emergenze (terremoto della Val di Noto – 1693, il terremoto in Calabria – 1783) le autorità centrali nominavano un commissario con poteri straordinari. A livello legislativo esistevano già delle norme antisismiche nello Stato Pontificio, nel Regno delle Due Sicilie e nel Ducato di Mantova, dove veniva progettata la prima antisismica del mondo occidentale ad opera di Pirro Logorio. Aggirandosi tra le rovine di Ferrara, colpita dal terremoto nel 1570, l’architetto Logorio è il primo a rendersi conto di quanto sia importante costruire edifici solidi e ad affrontare il tema della sicurezza abitativa. A seguito della realizzazione dell’Italia unitaria, entra in vigore lo Statuto Albertino, adottato nel 1848 dal Regno di Sardegna. A causa della natura geologica del Piemonte e della Sardegna e non essendo regioni sismiche ma con un’alta incidenza dei fenomeni idrogeologici, in tutti gli Stati annessi al Piemonte vengono abolite le norme relative alle prescrizioni edilizie antisismiche a favore di una “tradizione” ingegneristica idraulica legata ai territori del nord per il controllo dei fiumi.

Dare aiuto e soccorrere le popolazioni nelle emergenze, in quegli anni, non era compito prioritario dello Stato: il soccorso rientrava nel concetto di generosità pubblica e gli interventi dei militari, che da sempre rappresentano l’ossatura dei soccorsi, venivano considerati opere di beneficenza. Durante l’alluvione di Roma del dicembre 1870, i primi ad offrire soccorso furono le truppe dell’esercito che due mesi prima avevano conquistato la città con la Breccia di Porta Pia.

Il quadro legislativo post-unitario era frammentario e poco organico, limitandosi a prevedere interventi in seguito a particolari contingenze e calamità o per specifiche materie. Tutti i provvedimenti urgenti adottati per fronteggiare le emergenze nell’immediato avevano trovato il loro fondamento normativo nel potere di ordinanza concesso all’autorità amministrativa dalla Legge n°2359 del 25 giugno 1865. Prefetti e Sindaci potevano disporre della proprietà privata in caso di rotture degli argini, di rovesciamento di ponti e in generale in tutti i casi di emergenza.

In generale, al verificarsi di un’emergenza venivano mobilitati l’Esercito e le Forze dell’Ordine, i primi ad accorrere sul luogo del disastro. L’iter di gestione delle emergenze era rigido e codificato e cominciava solo nel momento in cui la notizia del disastro arrivava ufficialmente sul tavolo del Presidente del Consiglio, che svolgeva anche funzioni di Ministro dell’Interno. Il dispaccio partiva dalla fitta rete delle Prefetture presenti sul territorio e poteva arrivare dopo poche ore, giorni, ma anche dopo settimane dall’evento. Le emergenze venivano considerate nazionali solo se colpivano obiettivi stcrategici per la viabilità e le strutture di pubblica utilità. Valutata la portata dell’evento, scattava la mobilitazione dei Ministri dell’Interno e della Guerra, che faceva accorrere i reparti più vicini alla zona colpita. In maniera spontanea e non coordinata si attivavano anche i soccorritori volontari, enti religiosi e associazioni che il lavoro dei militari.

Nel 1906 vengono emanate alcune disposizioni particolari sulle eruzioni vulcaniche, la difesa degli abitanti e delle strade dalle frane, le alluvioni, le mareggiate e gli uragani. Nel 1908, dopo il disastroso terremoto di Messina, è stata introdotta la classificazione antisismica del territorio ed entra in vigore la prima normativa antisismica.

La prima nomativa organica : L’accentramento

Prima dell’Unità d’Italia l’organizzazione dei soccorsi era differenziata stato per stato. In occasione di grandi emergenze (terremoto della Val di Noto – 1693, terremoto in Calabria – 1783) le autorità centrali nominavano un commissario con poteri eccezionali. A livello legislativo, esistevano già delle norme antisismiche nello Stato Pontificio, nel Regno delle Due Sicilie e nel Ducato di Mantova, dove veniva progettata la prima casa antisismica nel mondo occidentale, ad opera di Pirro Logorio. Aggirandosi tra le rovine di Ferrara colpita dal terremoto nel 1570, l’architetto fu il primo a rendersi conto di quanto fosse importante costruire edifici solidi e ad affrontare il tema della sicurezza abitativa. Con l’Italia unita entra in vigore lo Statuto Albertino, adottato nel 1848 dal Regno di Sardegna. A causa della natura geologica del Piemonte e della Sardegna e non essendo regioni sismiche ma con un’alta incidenza dei fenomeni idrogeologici, in tutti gli Stati annessi al Piemonte vengono abolite le norme relative alle prescrizioni edilizie antisismiche a favore di una “tradizione” ingegneristica idraulica legata ai territori del nord per il controllo dei fiumi.

Dare aiuto e soccorrere le popolazioni nelle emergenze, in quegli anni, non era compito prioritario dello Stato: il soccorso rientrava nel concetto di generosità pubblica e gli interventi dei militari, che da sempre rappresentano l’ossatura dei soccorsi, venivano considerati opere di beneficenza. Durante l’alluvione di Roma del dicembre 1870, i primi ad offrire soccorso furono le truppe dell’esercito che due mesi prima avevano conquistato la città con la Breccia di Porta Pia.

Il quadro legislativo post-unitario era frammentario e poco organico, limitandosi a prevedere interventi in seguito a particolari contingenze e calamità o per specifiche materie. Tutti i provvedimenti urgenti adottati per fronteggiare le emergenze nell’immediato avevano trovato il loro fondamento normativo nel potere di ordinanza concesso all’autorità amministrativa dalla Legge n°2359 del 25 giugno 1865. Prefetti e Sindaci potevano disporre della proprietà privata in caso di rotture degli argini, di rovesciamento di ponti e in generale in tutti i casi di emergenza.

In generale, al verificarsi di un’emergenza venivano mobilitati l’Esercito e le Forze dell’Ordine, i primi ad accorrere sul luogo del disastro. L’iter di gestione delle emergenze era rigido e codificato e cominciava solo nel momento in cui la notizia del disastro arrivava ufficialmente sul tavolo del Presidente del Consiglio, che svolgeva anche funzioni di Ministro dell’Interno. Il dispaccio partiva dalla fitta rete delle Prefetture presenti sul territorio e poteva arrivare dopo poche ore, giorni, ma anche dopo settimane dall’evento. Le emergenze venivano considerate nazionali solo se colpivano obiettivi strategici per la viabilità e le strutture di pubblica utilità. Valutata la portata dell’evento, scattava la mobilitazione dei Ministri dell’Interno e della Guerra, che faceva accorrere i reparti più vicini alla zona colpita. In maniera spontanea e non coordinata si attivavano anche i soccorritori volontari, enti religiosi e associazioni che il lavoro dei militari.

Nel 1906 vengono emanate alcune disposizioni particolari sulle eruzioni vulcaniche, la difesa degli abitanti e delle strade dalle frane, le alluvioni, le mareggiate e gli uragani. Nel 1908, dopo il disastroso terremoto di Messina, è stata introdotta la classificazione antisismica del territorio ed entra in vigore la prima normativa antisismica.

La legge 225 del 1992 : Nasce il Servizio Nazionale di Protezione Civile

Nel 1981 il regolamento d’esecuzione della Legge n. 996 del 1970 individua per la prima volta gli organi ordinari (Ministro dell’Interno, Prefetto, Commissario di Governo nella Regione, Sindaco) e straordinari di protezione civile (Commissario straordinario), e ne disciplina le rispettive competenze. La protezione civile viene definita compito primario dello Stato. Si comincia a parlare di prevenzione degli eventi calamitosi, attraverso l’individuazione e lo studio delle loro cause. Sono gli organi statali – Prefetto e Commissario di Governo – a svolgere il ruolo più importante nella gestione dell’emergenza. Nel 1982 viene formalizzata la figura del Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile (Legge n.938 del 1982), una sorta di “commissario permanente” pronto ad intervenire in caso di emergenza. Si evita così di individuare ogni volta un commissario e creare ex novo la macchina organizzativa. Il Ministro per il Coordinamento della Protezione Civile si avvale del Dipartimento della Protezione Civile, istituito sempre nel 1982 nell’ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Ordine di Servizio del 29 aprile). Invece di istituire un apposito ministero, con una struttura burocratica e di pari rango rispetto agli altri ministeri, si sceglie di creare un organismo snello, sovra-ministeriale, capace di coordinare tutte le forze di cui il Paese può disporre. Il Dipartimento della Protezione Civile raccoglie informazioni e dati in materia di previsione e prevenzione delle emergenze, predispone l’attuazione dei piani nazionali e territoriali di protezione civile, organizza il coordinamento e la direzione dei servizi di soccorso, promuove le iniziative di volontariato e coordina la pianificazione d’emergenza ai fini della difesa civile. La Protezione Civile si muove ormai lungo quattro direttrici principali: previsione, prevenzione, soccorso, ripristino della normalità. La svolta definitiva arriva con la Legge n. 225 del 1992 e con la nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile, con il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”. La struttura di Protezione Civile viene riorganizzata profondamente come un sistema coordinato di competenze alle quali concorrono le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali, gli enti pubblici, la comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione anche privata. Tutto il sistema di Protezione Civile si basa sul principio di sussidiarietà. La prima risposta all’emergenza, qualunque sia la natura e l’estensione dell’evento, deve essere garantita a livello locale, a partire dalla struttura comunale, l’istituzione più vicina al cittadino. Il primo responsabile della Protezione Civile è quindi il Sindaco: in caso di emergenza assume la direzione e il coordinamento dei soccorsi e assiste la popolazione, organizzando le risorse comunali secondo piani di emergenza prestabiliti per fronteggiare i rischi specifici del territorio.

Quando un evento non può essere fronteggiato con i mezzi a disposizione del Comune, si mobilitano i livelli superiori attraverso un’azione integrata: la Provincia, la Prefettura, la Regione, lo Stato. Questo complesso sistema di competenze trova il suo punto di collegamento nelle funzioni di impulso e coordinamento affidate al Presidente del Consiglio dei Ministri, che si avvale del Dipartimento della Protezione Civile. La legge 225/92 definisce le attività di Protezione Civile: oltre al soccorso e alle attività volte al superamento dell’emergenza, anche la previsione e la prevenzione. Il sistema non si limita quindi al soccorso e all’assistenza alla popolazione, ma si occupa anche di definire le cause delle calamità naturali, individuare i rischi presenti sul territorio e di mettere in campo tutte le azioni necessarie a evitare o ridurre al minimo la possibilità che le calamità naturali provochino danni. 

Gli eventi calamitosi vengono classificati, per estensione e gravità, in tre diversi tipi. Per ogni evento si individuano i competenti livelli della protezione civile che devono attivarsi per primi: Tipo A – (a livello comunale), Tipo B – (livello provinciale e regionale) e Tipo C – (livello Stato). In caso di evento di “tipo C”, che devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, la competenza del coordinamento dei soccorsi viene affidata al Presidente del Consiglio dei Ministri che può nominare Commissari Delegati. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale. Il Presidente del Consiglio può emanare ordinanze di emergenza e ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o danni a persone o cose. Presso il Dipartimento della Protezione Civile vengono istituiti la Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi che svolge attività di consulenza tecnico-scientifica in materia di previsione e prevenzione ed il Comitato Operativo della Protezione Civile. Vengono definite le Componenti e le Strutture Operative del Servizio Nazionale della Protezione Civile. Il Servizio Nazionale riconosce le iniziative di volontariato civile e ne assicura il coordinamento. La Legge 225 inserisce il volontariato tra le componenti e le strutture operative del Servizio Nazionale e stabilisce che deve essere assicurata la più ampia partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni di volontariato di Protezione Civile nelle attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista o in occasione di calamità naturali o catastrofi. Storicamente la Legge 225/92 rappresenta un momento di passaggio tra la fase accentrata e decentrata: le competenze operative rimangono in capo all’amministrazione centrale e periferica dello Stato, ma per la prima volta aumenta notevolmente il peso delle Regioni, delle Province e dei Comuni, soprattutto per quanto riguarda la previsione e la prevenzione.

l decreto Bassinanini e la riforma del titolo V : Il decentramento

A partire dai primi anni ’90 la domanda “regionalista/federalista” condiziona e orienta il dibattito politico. In risposta a questa domanda, Governo, Parlamento e quasi tutte le forze politiche concordano in un consistente trasferimento di competenze dal centro alla periferia sulla base dei principi di “sussidiarietà” e “integrazione”, in modo da avvicinare la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini. Di conseguenza alcune importanti funzioni statali passano alle Regioni e agli enti locali e funzioni regionali passano agli enti locali. In questo contesto viene ridefinita anche la materia della Protezione Civile. Il decreto legislativo n. 112 del 1998 – attuativo della legge Bassanini – ridetermina l’assetto della Protezione Civile, da un lato trasferendo importanti competenze alle autonomie locali – anche di tipo operativo – e dall’altro introducendo una profonda ristrutturazione anche per le residue competenze statali. Il quadro normativo di riferimento resta sempre la Legge 225/92. La Protezione Civile viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti Locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei compiti di “rilievo nazionale del Sistema di Protezione Civile”.

Restano compiti dello Stato :

  • l’indirizzo, la promozione e il coordinamento delle attività in materia di protezione civile
  • la deliberazione e la revoca – d’intesa con le regioni interessate – dello stato di emergenza in casi di eventi di tipo “C”
  • l’emanazione di ordinanze
  • l’elaborazione dei piani di emergenza nazionali (per affrontare eventi di tipo “C”) e l’organizzazione di esercitazioni

Le Regioni si occupano di :

  • predisporre i programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali
  • attuare gli interventi urgenti quando si verificano interventi di tipo “B”, avvalendosi anche del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
  • l’organizzazione e l’impiego del volontariato

Le Province attuano, a livello provinciale, le attività di previsione e prevenzione dei rischi; predispongono i piani provinciali di emergenza e vigilano sulla predisposizione, da parte delle strutture provinciali, dei servizi urgenti da attivare in caso di emergenza (eventi di tipo “B”).

Comuni attuano, a livello locale, le attività di previsione e prevenzione dei rischi; predispongono i piani comunali di emergenza, adottano i provvedimenti necessari ad assicurare i primi soccorsi e organizzano l’utilizzo del volontariato di Protezione Civile comunale.

Il percorso verso il decentramento si chiude con la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale n. 3 del 2001). Per la prima volta la Carta Costituzionale si occupa espressamente della materia di Protezione Civile, inserendola tra le materie a legislazione concorrente, e quindi, di competenza regionale (nell’ambito dei principi fondamentali dettati dalle Leggi-Quadro). Resta fermo il potere d’ordinanza attribuito al Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre scompare la figura del Commissario di Governo. L’assetto generale della Protezione Civile subisce ulteriori modifiche anche alla luce dei Decreti Legislativi 300/99 e 303/99 che – riformando l’ordinamento della Presidenza del Consiglio e l’organizzazione del Governo – vanno a modificare profondamente gli assetti organizzativi della Pubblica Amministrazione.

Con il Decreto Legislativo n. 300 del 1999 viene istituita l’Agenzia di Protezione Civile. L’intero assetto del sistema di protezione civile viene rivoluzionato: anziché il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, al vertice del sistema vengono collocati il Ministro dell’Interno – con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo – e l’Agenzia di Protezione Civile, con compiti tecnico-operativi e scientifici. All’Agenzia vengono trasferite le funzioni del Dipartimento della Protezione Civile. La creazione dell’Agenzia nasce anche dalla volontà di ricondurre l’attività della Presidenza del Consiglio alle tradizionali funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento, eliminando le funzioni più prettamente operative.

Dalla 401/2001 alla 152/2005: i grandi eventi e le emergenze all’estero

Con la Legge n. 401 del 2001 le competenze dello Stato in materia di Protezione Civile vengono ricondotte in capo al Presidente del Consiglio, la neonata Agenzia di Protezione Civile viene abolita e il Dipartimento della Protezione Civile viene ripristinato, nell’ambito della Presidenza del Consiglio. I compiti del Presidente del Consiglio corrispondono a quelli già individuati dalla Legge 225/92 e dal D.Lgs 112/98.

Per esercitare le proprie competenze il Presidente del Consiglio si avvale del Dipartimento della Protezione Civile. Di fatto, il Capo Dipartimento svolge una funzione di coordinamento operativo di tutti gli enti pubblici e privati. Oltre a questo, il Dipartimento promuove – d’intesa con le Regioni e gli enti locali – lo svolgimento delle esercitazioni, l’informazione alla popolazione sugli scenari nazionali e l’attività di formazione in materia di Protezione Civile. Come contrappeso alla ritrovata centralità del ruolo del Presidente del Consiglio, viene istituito presso la Presidenza del Consiglio un Comitato paritetico Stato – Regioni – Enti Locali. Una delle novità più importanti della legge 401/2001 è l’introduzione, nell’ambito della Protezione Civile, dei cosiddetti “grandi eventi”. La dichiarazione di “grande evento”, così come per lo stato di emergenza, comporta l’utilizzo del potere di ordinanza. Un ultimo importante passaggio dal punto di vista normativo è rappresentato dalla Legge n. 152 del 2005, che estende il potere d’ordinanza anche per gli eventi all’estero, dopo la dichiarazione dello Stato di Emergenza.

LA RIFORMA DEL SERVIZIO NAZIONALE

A vent’anni dalla sua nascita il Servizio Nazionale della Protezione Civile viene riformato. Il Decreto-Legge n. 59 del 15 maggio 2012, convertito nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012, modifica e integra la Legge n. 225 del 1992 istitutiva del Servizio. Le attività di protezione civile sono ricondotte al nucleo originario di competenze definito dalla Legge n. 225 e viene ribadito il ruolo di indirizzo e coordinamento del Dipartimento della Protezione Civile.

La legge n. 100 del 2012 tocca temi chiave per tutto il sistema: dalla classificazione degli eventi calamitosi alle attività di protezione civile, dalla dichiarazione dello stato di emergenza al potere d’ordinanza. Accanto alle attività di previsione e prevenzione dei rischi e di soccorso delle popolazioni viene specificato il concetto di superamento dell’emergenza, che include ogni attività necessaria e indifferibile rivolta al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio” connessa agli eventi calamitosi.

Le attività di prevenzione vengono esplicitate e si parla nel dettaglio di allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica ed esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene inquadrato in maniera organica, richiamando i vari provvedimenti che negli anni hanno disciplinato le attività di allertamento ai fini di protezione civile.

La legge n. 100 del 2012 ribadisce inoltre il ruolo del Sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti nelle attività di soccorso e assistenza alla popolazione.

IL CODICE DELLA PROTEZIONE CIVILE : COSA CAMBIA

Dal 2 gennaio 2018, il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della Protezione Civile (Decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018), con il quale è riformata tutta la normativa in materia.

Il Codice nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura. Per rispondere a questo obiettivo di semplificazione, ogni articolo esplicita chiaramente le norme che sostituisce e, nei due articoli conclusivi (artt. 47 e 48), offre anche un coordinamento dei riferimenti normativi e l’elenco completo di tutte le norme che attraverso il Codice sono abrogate.

La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico. Anche per questo il Codice è stato scritto in modo diverso rispetto ad altre norme ed è stato elaborato da un gruppo di redazione composto da rappresentanti di Dipartimento della Protezione Civile, Regioni, Comuni, Ministeri, Volontariato di protezione civile.

La prima proposta di riordino della normativa in materia di protezione civile è dunque frutto del lavoro di un gruppo misto e tale scelta ha influito sulla impostazione collettiva del Codice, nato da un confronto aperto su criticità e punti di forza della pregressa normativa in materia.

Ma perché l’esigenza di un riordino della protezione civile? Dalla prima legge del Ministro dei Lavori Pubblici che nel 1926 regolamenta il tema del coordinamento “di protezione civile”, fino ad arrivare alla legge 225/1992, istitutiva del Servizio Nazionale, norme e modifiche seguono l’andamento storico e le emergenze del Paese. La volontà di riformare la normativa di protezione civile arriva quando la legge 225/1992 ha 25 anni e ed è già stata modificata in modo anche intensivo. Ulteriori variazioni e integrazioni di protezione civile, stratificate nel tempo, passano anche attraverso altri corpi normativi e tutti questi fattori rendono la lettura dell’ordinamento in materia molto difficile. Il nuovo Codice, che punta alla semplificazione, lo fa attraverso la consapevolezza che il mondo di oggi è complesso e che quindi anche la normativa in materia di protezione civile deve tenere conto di tale complessità, governandola. Disciplinando infatti attività di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, ma anche di gestione delle emergenze e loro superamento, il Codice ha l’obiettivo di garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva. Di seguito, per punti, i principali elementi di novità introdotti dal Codice.

PREVISIONE E PREVENZIONE

In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio anche dinamico degli scenari di rischio possibili. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata. La prevenzione non strutturale è composta da una serie di attività in cui spiccano l’allertamento e la diffusione della conoscenza di protezione civile su scenari di rischio e norme di comportamento e la pianificazione di protezione civile. La prevenzione strutturale è reintrodotta come “prevenzione strutturale di protezione civile”, a sottolineare l’esistenza di temi di protezione civile specifici quando si parla di prevenzione strutturale. Un ruolo specifico, in cui il Dipartimento della Protezione Civile è integrato nei tavoli di lavoro dove le linee di prevenzione strutturale sono definite. Sono inoltre disciplinati gli interventi strutturali di mitigazione del rischio in ambito emergenziale. Si precisa infine la necessità di azioni integrate di prevenzione strutturale e non strutturale.

GESTIONE DELLE EMERGENZE NAZIONALI

Prima del Codice, l’intervento nazionale, compresa l’attivazione di strumenti straordinari, era subordinata alla dichiarazione dello stato di emergenza. L’attivazione preventiva era rimessa all’autonoma valutazione degli Enti competenti.

Lo stato di mobilitazione, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, supera questo limite e consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e di chiedere anche il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza. Se l’evento si tramuta in calamità, si mette in moto la macchina emergenziale. In caso contrario, con un atto unilaterale del Capo Dipartimento si possono riconoscere i costi sostenuti da parte di chi si è preventivamente attivato.

RISCHI DI PROTEZIONE CIVILE

Il Codice esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa, inoltre, i rischi su cui il Servizio Nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.

PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI ALLE ATTIVITÀ DI PROTEZIONE CIVILE

Il Codice introduce il principio della partecipazione dei cittadini finalizzata alla maggiore consapevolezza dei rischi e alla crescita della resilienza delle comunità. Tale partecipazione può realizzarsi in vari ambiti, dalla formazione professionale, alla pianificazione di protezione civile e attraverso l’adesione al volontariato di settore.

Da chi è composta la Protezione Civile ?

La Protezione Civile Nazionale è composta dalle seguenti strutture operative :

  • il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale della protezione civile
  • le Forze armate
  • le Forze di polizia
  • il Corpo forestale dello Stato
  • i Servizi tecnici nazionali
  • i gruppi nazionali di ricerca scientifica di cui all’articolo 17, l’Istituto Nazionale di Geofisica ed altre istituzioni di ricerca
  • la Croce rossa italiana
  • le strutture del Servizio sanitario nazionale
  • le organizzazioni di volontariato
  • il Corpo Nazionale Soccorso Alpino-CNSA (CAI)

Fonte : Dipartimento della Protezione Civile